Non sono mai riuscito a decidere di chi innamorarmi. E pensare che ho sempre avuto le idee chiare su chi dovrebbe essere la mia donna tipo; scolpita nell'immaginazione facendo affidamento sui miei personalissimi gusti, perché ognuno di noi ha delle preferenze, no? Eppure finisco sempre per desiderare qualcosa che non rispecchia questi canoni, a volte persino negandoli. Sarà che sono un tipo facilmente plagiabile, in grado di cambiare parere alla svelta. Infatti la pubblicità ha sempre avuto una grossa influenza su di me: da piccolo ho pregato in ginocchio che mi regalassero Geox: la scarpe che respira. La motivazione è racchiusa nello slogan appena citato, che io presi alla lettera; ritrovandomi poi con un paio di normalissime scarpe marroni, cosa che un bambino non vorrebbe mai ricevere. Ma a pensarci bene, perché mai un bimbo dovrebbe volere delle scarpe che respirano?
Sarebbe scorretto giustificarsi con la tipica frase: “Ero un bambino! Ma che pretendete?”.
È ingiusto perché anche in adolescenza riuscivo a farmi ipnotizzare dalla scatola; basta osservare casa mia per constatare che grand parte dell'arredo è il risultato di una teledipendenza ossessiva, che col tempo mi ha spinto a nutrirmi di qualunque cosa fosse autorizzata dai miei beniamini. Pur di possedere tutte le piccole card lenticolari con i personaggi dei Looney Tunes, acquistai per mesi scatole di cereali integrali con veri pezzi di frutta; e nonostante la forte repulsione per questo abominio della prima colazione, ritenevo che le 7000 Lire a pacco fossero assolutamente ben spese.
Crescendo mi sono convinto che prima o poi avrei abbandonato questi comportamenti infantili, e con più lucidità sarei stato anche in grado di ridefinire i miei bisogni consumistici: va bene farsi fregare dai media, ma lo accetterò solo quando sarà io a deciderlo. E forse, è proprio con questa convinzione di autocontrollo che abbassai ulteriormente la guardia. Eh sì, perché come dicevo all’inizio, quello che ci piace non coincide sempre con quello che vogliamo realmente.
Ricordo ancora quella volta che, invece di mangiare unte pizzette nel giardinetto vicino all'ufficio, decisi di trascorrere la pausa pranzo a casa. Di solito evitavo, non solo per ovvia comodità, ma in tutta onestà preferivo avvelenarmi solo a cena, dato che le mie doti culinarie risultano passabili solo quando esco dallo stivale. Lo sapevate che la pasta all'arrabbiata esce benissimo anche con i würstel e il ketchup?
Ciò che mi spinse a rischiare la gastrite era invece una delle giornate più fredde di quel 2011, che già combattevo servendomi della celebre tecnica dei pantaloni del pigiama sotto ai jeans. Ma quella mattina, ahimè, nemmeno quello bastò. Il tepore di casa mi chiamava seducente.
Rimediai subito al gelo con un altro paio di pantaloni, e poi feci la scelta gastronomica meno catastrofica possibile: Bastoncini di pesce. Li trovo veloci, saporiti e persino divertenti; adoravo separare la panatura dal merluzzo e tenerla da parte per mangiarla solo alla fine. Pratica che sicuramente verrà compresa da chi soffre di qualche disturbo, però questi sono alcuni dei vantaggi che possiamo esercitare quando siamo protetti dalle mura delle nostre dimore. Difficile proporre questi comportamenti facilmente opinabili nei ristoranti. Forse ancora ancora in Cina, dove oltre al rutto libero è concesso scatarrare ovunque e lanciare fragorose impennate dal culo manco foste protagonisti di un film di Alvaro Vitali.
Mentre sgranocchiavo la parte arancione del pasto, ricorro a uno degli stratagemmi preferiti dalle casalinghe per non sentirsi sole: accendere la televisione. Ormai l'avevo trascurata e rimpiazzata con internet, e con questo breve riavvicinamento fu bello constatare che l'Italia rimane un paese di tradizioni solide anche quando si parla del palinsesto Mediaset; la gioia degli ottusi è la ripetizione, quindi che nessuno levi Dragon Ball e le vecchie puntate dei Simpson da Italia 1. Ammetto che però fu un sottofondo di tutto rispetto per tenermi compagnia mentre preparavo il caffè, attendendo il momento di tornare alla solita routine.
Mentre raccoglievo col cucchiaino il grumo di zucchero sul fondo della tazzina, un minaccioso alieno che vuole impossessarsi delle sfere del drago viene bruscamente interrotto dai consigli per gli acquisti; cosa che mi portò a dover cercare repentinamente il telecomando prima che mi scoppiassero i timpani, visto che lo spot di Activia sembrasse aver bisogno di guadagnare qualche decibel in più per attirare la mia attenzione. Eppure sarebbe bastata la curatissima fotografia dello spot, che avrebbe fatto impallidire quella di una puntata di Carabinieri.
Mentre cerco di capire quante volte è stata utilizzata spudoratamente una forma fallica per vendere un prodotto, arriva lei: “Rossetto Pennarello 1000 Kisses!”: questo è il nuovo prodotto pubblicizzato dalla Rimmel London, la nota azienda Inglese di cui non so un cazzo di niente, ma che ricordo per la sua lunga storia di spot con montaggi alla MTV e belle signorine scelte sapientemente. Peccato che a questo giro le cose non sono come le ricordassi. Urlo allo scandalo e mi domando: "Ma chi è sta raccomandata?".
La modella protagonista della nuova campagna pubblicitaria è tanto bella quanto estremamente British, e non lo dico per via del setting, con tanto di guardie inglesi, ma per l’insolita dentatura della modella, che sì, ha un viso che buca lo schermo, ma stroncato appena accenna un sorriso, che mette alla luce un evidentissimo diastema tra i pronunciatissimi incisivi superiori. Orrore divino! Ma per quale ragione, con tutte le bamboline che infestano il pianeta, hanno scelto questa ragazza, che addirittura sventola con vanto le sue armi smaltate?
Ma ormai è tutto finito: in pochi secondi la modella sparisce e si parla di tariffe del telefono accompagnate dalle gag imbarazzanti di tre vecchi comici ormai alla frutta. Era quindi giunto il momento di abbandonare la tavola e andare in bagno a lavare i denti. Già… i denti. Mi veniva difficile guardarli senza pensare a ciò che avevo appena assistito. Ripensavo a Madonna, a quando sfoggiava con orgoglio il suo piccolo diastemino dicendo che mai l’avrebbe sistemato. Ma persino la grande diva ebbe dei ripensamenti; cosa totalmente ignorata invece da quell'inglesina, che avrei tanto voluto incontrare a Leicester Square per urlarle “Mind The Gap”!
Volevo vederla ancora una volta. Un incontrollabile bisogno di soffermarmi con più insistenza su quell'oscenità mi stregò, quasi fossi in fila al circo in trepidante attesa di vedere in gabbia The Elephant Man. I pochi secondi di spot non erano bastati, e la mia mente cominciava a ricostruire un'immagine distorta di ciò che avevo visto: dove non arrivava la memoria, c'era il vuoto, sostituito dalla fantasia. Il vuoto che lei aveva tra i denti, invece no!
Ero quasi in ritardo, non avrei mai avuto il tempo necessario per accendere il computer e cercare testimonianze del ribrezzo, ma sarebbe stata la prima cosa da fare appena rincasato. Avrei navigato il web in cerca di disgusto, appagando chissà quale assurda curiosità malsana. Sembrava quasi di essere tornati ai tempi di Rotten.com.
Uscì di casa e m'incamminai con passo decisissimo. Cuffie alle orecchie ad accompagnarmi dai 15 minuti che mi separavano dall'ufficio. Ma ancora ci pensavo, e capì che non volevo ammettere una cosa: cercavo in tutti i modi di convincermi che quella ragazza avesse qualcosa di sbagliato; però poteva essere proprio quell'anomalia a capovolgere i canoni di bellezza a cui ero abituato. E nel suo caso era proprio quella macrodonzia a renderla speciale, diversa, attraente. Un piccolo elemento che urlava attenzione e diventava emblema di seduzione.
Era bello perché brutto? Attrazione per l’insolito e il diverso? Ci finisce in mezzo il cibo quando mangia? Ci passa il filo in mezzo? Canta meglio? Fischia più forte? Che si prova quando la si bacia? E non mi venivano in mente che queste domande, confermando infine una certa verità nel detto “chi disprezza compra”. Se mai sarei diventato un writer penso che i miei atti vandalici sarebbero stati caratterizzati da una riscoperta degli antichi proverbi. Oppure avrei imbrattato i muri con dediche alla mia amata, che diciamolo... ormai avrebbe risposto al nome di "Signorina probabilmente inglese della pubblicità della Rimmel!".
Esatto, mi ero infatuato di una donna con i denti di Pippo che avevo visto in TV per circa 10 secondi. Questo era bastato per farmi nuovamente perdere la testa, per ammettere ancora una volta che i media la sanno lunga.
Mi sentivo ridicolo. Gli innamorati si sentono forti, ma io provavo compassione per me stesso. Ero davvero così debole? Ma sentivo anche il cavallo dei Jeans stringere, e per giustificare col romanticismo la mia natura maschile, lo vidi come un segnale mandato dal cuore. Dovevo almeno conoscere il nome della mia musa. Volevo che la mia Beatrice acquistasse ancora più forma, ed ero pronto a trasformare anch'essa in uno slogan. Tipo "Emily: la donna che respira". Però qualcosa di più dolce, trasgressivo e sensato.
Perciò feci marcia indietro e usai abilmente il telefonino per comporre una credibilissima scusa e sottrarmi dai miei doveri, così da permettermi di fare qualcosa di sciocco. Dopo veloci click nel più noto motore di ricerca, non ci volle molto per scoprire numerosi dettagli sulla fanciulla. Si chiamava Georgia May Ayeesha Jagger. Solo il nome evocava in parte lussuria. Lo ripetevo, e la mia lingua sbatteva contro il palato provocandomi infinito piacere. Mi affacciai al balcone e lo gridai con così tanta enfasi che un passante mi scambiò per qualche jihadista.
Setacciai ancora qualche ora il web, divorando le notizie più importanti (è la figlia del cantante dei Rolling Stones) ma anche quelle più banali (preferisce di gran lunga il prosciutto cotto a quello crudo). E in tutto ciò trovai in qualche modo confortante leggere che non fui il solo ad essere caduto nel tranello; in tanti avevano già mostrato amore creando fan clubs, discussioni nei forum e tesi di laurea. Ma io, come ogni innamorato, mi sentivo nettamente superiore e sostenevo con assoluta convinzione di amarla per davvero. E infatti ogni innamorato che si rispetti fa una follia d'amore. Io decisi impulsivamente di prendere il primo volo per Londra con l'obiettivo di stanarla e dimostrarle che IO non ero come tutti gli altri, IO l’amavo per quello che aveva dentro. Con precisione i suoi incisivi.
La mattina seguente ero già sistemato in una bella topaia di Gloucester Road, a chiedermi perché gli inglesi odino il miscelatore del rubinetto e amino la moquette sul pavimento. Mostravo più stima invece per le loro abitudini alimentari, costantemente contestate da noi Italiani. Ammetto senza vergogna di avere un debole per la colazione a base di fagioli, pancetta, patate, salsiccia, pomodoro e caffè lungo. Mi domandai se i miei gusti fuori dal coro avrebbero colpito Georgia, anche se per lei sarebbero risultati conformi, rendendomi quindi più simile a lei. Ottimo punto di partenza per stilare la lista di cose che abbiamo in comune.
Con la pancia piena cominciai a chiedermi come avrei mai trovato Georgia nella grande metropoli, e arrivai alla conclusione che un tipo come me non poteva che dirigersi in un all'Apple Store del centro per scroccare senza ritegno la connessione gratuita per navigare su internet e fare le dovute ricerche. Cominciai quindi visitando la fan page di Georgia con la speranza di poter trovare il suo indirizzo di casa. Sembra una sciocchezza, ma non avete idea dei matti che ci sono in giro...
Fui sfortunato, ma un breve controllo del suo Twitter mi rivelò senza troppa fatica che la donna della mia vita - per un incredibile coincidenza - si sarebbe trovata alle 18:30 da Harrods per presentare i nuovi prodotti della linea Rimmel, seguito da un Q&A con il pubblico. Era destino? Una storia già scritta che stavo percorrendo col pilota automatico, e quindi poche chiacchiere: avevo deciso che avrebbe ricambiato il mio amore e così sarebbe stato. E allora presi la prima metro e mi fiondai con largo anticipo ad occupare una delle scomode sedie messe a disposizione del centro commerciale più posh che ci sia.
Il tempo non passava, ogni secondo dilatato. Il nervosismo si manifestava battendo il piede destro e con interminabili partite a Fruit Ninja. Poi cominciai a fantasticare numerosi scenari che avrebbero dato vita al nostro primo incontro. Il mio preferito era quello in cui la moderatrice le domanda quale rossetto tra borgogna e carminio ha avuto maggior impatto nella sua carriera di modella, e lei a metà quesito cambia espressione, individuandomi tra la folla di ciccioni brufolosi con la maglia di Spongebob e le anoressiche in minigonna truccate da Joker. Scosta il microfono e si alza in piedi, mostrando delle gambe che sembrano le Twin Towers, e su cui anche io mi sarei lanciato senza pietà fino a poi raggiungere il Pentagono. Avanza decisa, quasi minacciosa, come un sensuale cobra pronto a morderti e iniettarti il suo veleno - Il veleno dell'amore. Mi si piazza davanti, e ci osserviamo per la prima volta come Tarzan & Jane, studiando la nostra fisionomia da vicino. Gli sguardi s'incrociano, e così anche le nostre labbra. Le lingue. Le salive. Le gengive. E i denti.
Ma tornato dall'Iperuranio dovevo fare i conti con la realtà. Tener conto dei miei limiti, ma fare affidamento sui miei punti di forza. Tipo che ho degli amici con la casa al mare. Ad ogni modo, ormai non si poteva più tornare indietro. Quindi sarei andato diretto, chiedendole di sposarmi e poi avrei affrontato giorno per giorno i delicati passaggi della nostra relazione. Non misi assolutamente in dubbio la sua capacità di mantenere me e i nostri 3 figli: Rebecca, Argo e William. Ma posai nuovamente i piedi per terra, e affrontai anche la possibilità di una scissione, perché il nostro rapporto si sarebbe potuto raffreddare anche a distanza di 16 anni. E a quel punto sapevo che avrei potuto contare, sempre e comunque, sul mio fedele cognato. Nonostante sia più un tipo da Beatles, io e Mike saremmo sempre stati culo e camicia (proprio come quel loro singolo "Ass & Shirt"). Un divorzio con Georgia non avrebbe precluso la nostra amicizia, e come io avrei potuto contare su un posto letto assicurato a casa sua, lui poteva fare affidamento sui miei consigli in merito alla sua carriera e alla direzione creativa da prendere con la band.
Proprio nel momento in cui iniziai a immaginare per la quinta volta le dinamiche di una nostra fusione erotica, fece il suo ingresso la donna che avrebbe cambiato completamente la mia vita. A quale meraviglia stavo assistendo, finalmente capivo l'emozione provata dal mio professore di storia dell'arte quando in gita pianse vedendo la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Georgia meritava di essere tra quelle opere studiate sui libri, accanto alla Sfinge di Giza. Ma nemmeno la celluloide le avrebbe reso giustizia, proprio come fotografare lo schermo del Nintendo 3DS.
Dopo aver verificato lo splendore dei suoi incisivi, giustamente in bella vista e pronti ad essere abbagliati dai flash, cominciai a scrutarla indagando più a fondo scoprendo caratteristiche che in 27 ore non avevo mai notato. Che narici deliziose che aveva!
E sospirai sollevato quando mi accorsi della sua scarsa statura, perché non sopportavo l'idea di mettermi in punta di piedi per baciarla, alzare il capo per fissarla ogni volta che mi diceva "Ti Amo!", o ancora peggio passeggiare mano nella mano ad Hyde Park concedendo ai paparazzi l'assist perfetto per scrivere un perfido articolo contro la mia virilità.
Vorrei descrivere minuziosamente l'abbigliamento della mia futura compagnia, ma il mio lessico è scarso quando di parla di moda, e al massimo mi limiterei ad elencare una serie di colori, nemmeno tanto precisi. Gli stessi reperibili dall'astuccio di un bimbo di 6 anni per intenderci. Ma poco importa, perché la mia vista bucò le vesti, e appena emise il primo suono non avevo occhi che per la sua bocca. Potevo finalmente osservare il fascino della sua dentatura in tutta la sua tridimensionalità.
Cominciò un lungo discorso riguardante cosmetici, di cui ovviamente capì ben poco. Passai il tempo ad osservare la voragine centrale. Cambiata la posizione delle gambe, mi concentrai nuovamente sui denti. Ero così emozionato che non controllai nemmeno quanti “mi piace” avevo ricevuto su Facebook allo stato “Trovarsi da Harrods con la figa della pubblicità di Rimmel London a due metri di distanza non ha prezzo!”. Più tardi verificai: uno sconosciuto e un ex compagno delle medie. Mia madre aveva commentato “chi ti ha insegnato a parlare così? Dove sei? Stai bene? Dove abita questo tuo amico Harrods?”.
Giunse finalmente il momento in cui viene concesso alla plebe di esporsi ponendo inutili domande per il gusto d'interagire col loro idolo e farsi notare portando a casa un misero momento di gloria. Insieme alla mia mano se ne alzarono altre 8, e venni quindi scavalcato da un'agitatissima quindicenne, che speranzosa chiese: "come faccio a essere bella come te?". L'avrei convinta volentieri che un calcio sulle gengive sarebbe stato un buon inizio, ma volevo che Georgia scoprisse il mio lato aggressivo solo durante il nostro viaggio di nozze a Las Vegas, dove in una sala giochi le avrei mostrato le mie abilità di giocatore di Flipper.
Al secondo giro, una grandissima testa di minchia osa interpellare mio cognato, e senza provare il minimo imbarazzo pretende che Georgia, solo perché lei è lo sperma di uno dei componenti degli Stones, abbia una qualche opinione sulle loro migliori canzoni. E se a lei facessero schifo? Mio padre ha lavorato per anni per Danone, e solo uno sciocco oserebbe importunarmi per scoprire cosa preferisco tra latte intero, scremato, senza lattosio, mandorla, soia e riso. Papà nemmeno parla del suo lavoro a casa, e figuriamoci se ho maturato chissà quali conoscenze sulla produzione di latticini. E sto stronzo presume che la mia futura moglie abbia mai ascoltato per intero Let It Bleed?
Basta cazzate! Dovevo tirare fuori i coglioni, molto prima di quanto credessi. Quindi mi alzai prepotentemente in piedi e puntai il braccio al cielo manco fossi il secchione più preparato della classe. Il mio disperato tentativo di attenzioni andò a buon fine. Entrai per la prima volta nella retina di Georgia, e venni folgorato da quelle sfere azzurre che finalmente mi misero a fuoco.
Le scappò il più sincerò dei sorrisi, e mi indicò per necessaria chiarezza: “Ok! You! But slow down: I’m still here, I’m not going anywhere, Darling!”. Quel "Darling" mi aveva già mandato in ipossia. Temevo dislessia, vertigine, enuresi, tachicardia, erezione, sudorazione e strana voglia di mangiare Biscopazzi. Ma ebbi la prontezza di fare un respiro profondo, rilassarmi, concentrarmi e porre la domanda che avrebbe giustificato il prezzo del biglietto Ryanair: “Do you want to marry me?”.
Fulminea emise una dolce risata, che per me fu deleteria. Fui travolto da uno tsunami di sghignazzate sguaiate e scomposte. Mi scambiarono per il simpaticone, la bertuccia, il giullare, il clown, il pirla di turno. Ero ancora in piedi in cerca di un segnale quando fui prontamente sostituito da un'altra puttana, con spunti probabilmente più appropriati in quanto inerenti alla reperibilità americana dei prodotti Rimmel.
Ripresi posto per non sprofondare. Non avrei mai immaginato che da quel momento sarebbe stato impossibile posare nuovamente lo sguardo su Georgia. Il solo pensiero non faceva che inumidirmi gli occhi, sempre più appesantiti dalle lacrime, e quindi ormai troppo appannati per portela vedere un'ultima volta. Per evitare un'altra figuraccia mi allontanai il più in fretta possibile, ma nessuno prestò comunque alcuna attenzione. Libero dal giudizio cominciai a frignare peggio di quella volta che mangiai un dado Star convinto che fosse un cioccolatino.
Scendendo le scale sperai brevemente che Georgia mi rincorresse, afferrandomi per un braccio e dicendomi “Hey! What’s the matter, sweety? Where’re ya goin’?”. Mi occorreva ancora del tempo per ingoiare quel rospo, capire che dal quel momento avrei rinnegato ogni tipo di imperfezione odontoiatrica, che non sarei mai più andato a Londra, che avrei sputato in faccia a qualsiasi donna truccata con un prodotto Rimmel e mi sarei rifiutato per sempre di ascoltare una canzone dei Rolling Stones. Eccetto Satisfaction dei DEVO, ma quella non conta, è una cover. Ma soprattutto, non avrei mai più voluto rivedere Georgia, che dopo averle affidato il mio cuore ricambiò con lo sbeffeggio pubblico, rinunciando scioccamente a una vita felice e sessualmente appagante. Probabilmente anche per entrambi. Che sciocca!
Le ore che mi separavano dal volo di ritorno le usai per affogare le mie delusioni con lo shopping compulsivo, e mi fiondai in un HMV dove riempì il carrello di DVD e CD: “My Fair Lady (Special Edition)”, “The Best Of Airsupply”, “Seinfeld First & Second Season”, “Scrubs 8th Season”, “South Park 13Th Season” e “Spinal Tap Soundtrack”. Sostai per 2 ore a sorseggiare un Caffè Moka dello Starbucks del Plaza e a disegnare incisivi su un tovagliolo di carta. Poi mi buttai in un ristorante cinese nei pressi di Oxford Street, e incontrai un napoletano che mi spiegò 7 volte perché gli italiani sono meglio degli inglesi. Viveva a Londra da 16 anni.
Il giorno seguente, mentre viaggiavo in autobus verso l’aeroporto, mi rimproverai di esserci ricascato, riflettendo che forse non era tutta colpa della TV: ero io il responsabile!
L'ho già detto che slogan e jingle hanno una forte presa su di me, però sono io a fraintenderli. Che colpa ne ha la Rimmel se ho idealizzato morbosamente una donna partendo semplicemente da un minuscolo dettaglio estetico? Un particolare ha capovolto i canoni di bellezza mandandomi sempre più in tilt, e l'ho usato per ricostruire la ragazza dalla testa ai piedi. L'ho scolpita, estrusa e modellata secondo i contorti bisogni del mio subconscio. Ma chi era la vera Georgia? Indubbiamente la trovavo irresistibile, su questo non vi è alcun dubbio. Tuttavia non era altro che una completa sconosciuta con una voragine tra i denti. Ma c’era forse da stupirsi nel ritrovarsi a mani vuote quando ci s'innamora dello spazio tra un dente e l'altro?
Forse non troppo: la figa è un buco e mi risulta sia sempre molto popolare.
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